Teatro, cornici, viaggi.
Per ragioni, credo, legate alle esperienze che ho fatto, a me viene naturale ragionare sul tema “spettacolo” in termini di viaggio, ovvero tramite schemi, metafore, categorie che appartengono all’esperienza del viaggio. E allora partiamo. Se mi accingo a partire per l’India, mi dispongo mentalmente in modo diverso che se mi accingo a partire per Rimini. Nell’un caso una certa “mitologia” sull’India mi dice che sarà un’esperienza che potrebbe cambiarmi la vita, nell’altro caso no. Questa chiave di lettura, questo sfondo di aspettative, questo pre-giudizio può rivelarsi fondamentale almeno quanto la “realtà India” che andrò ad incontrare perché quanto mi accadrà possa tradursi in un’esperienza significativa per la mia vita. Se nei prossimi anni (potrebbero bastarne abbastanza pochi) dell’India si incominciasse a dire quello che si dice della Cina, ovvero che il capitalismo ne sta cambiando il volto, se dunque la fama, la narrazione, l’alone che circonda l’India cambiasse, cambierebbe anche la domanda di significato con cui e per cui partiamo, cambierebbe “lo sfondo india” (quel groviglio di immagini, pensieri ed emozioni che anche inconsciamente associamo all’India e dentro il quale andremo a collocare la “realtà” con cui entreremo in contatto diretto), con la conseguenza che, probabilmente, a parità di itinerario, a parità di realtà incontrata, il viaggio acquisterebbe tutt’altra rilevanza di significato. Quando parto per Rimini (il prossimo week-end? Forse… Normale) la cornice dentro la quale inquadro il tipo di esperienza che mi accingo a fare, il fatto di dare al viaggio tutt’altro orizzonte di durata, di intenti, di senso, fa sì che porti con me altri schemi interpretativi, altri criteri di valutazione, ma questo (e non Rimini) quasi certamente precluderà in partenza un salto di livello nel significato dell’esperienza. Non so se corrisponda a verità storica dire che un tempo lo spettacolo teatrale fosse l’India, ma lo è per certo dire che ora è una località da week-end o poco più. E questo non necessariamente perché gli spettacoli si siano impoveriti, ma perché è alquanto ridotta la domanda di senso che facciamo ad uno spettacolo, quello che ci attendiamo da questa esperienza. Ecco perché il tipo di ricerca teatrale che conduco, lavora e lavorerà molto sul patto iniziale che si va ad instaurare con gli spettatori. Si tenterà di rendere meno facile per lo spettatore inquadrare l’esperienza dentro quel rituale sociale/cornice prestodefinibile come “spettacolo teatrale”, nella convinzione che anche solo l’ostacolare il ricorso a schemi automatici possa attivare altri collegamenti, altri sfondi, altri serbatoi che darebbero “a parità di itinerario” una maggiore significatività all’esperienza. Ed ora di nuovo in viaggio. Perché, come dicevo prima, le domande da cui muove questa ricerca, mi sono esplose durante viaggi. Da ragazzino viaggiavo leggendo. Leggendo sognavo di andarmene che so a Mompracem per poi ritornare con degli oggetti magici con cui trasformare il presente. (Pomeriggi sui compiti, compagni tiranni, timidezze insuperabili.) Da grande non è cambiato molto. Ho continuato a pensare l’altrove come un serbatoio di talismani con cui ritornare e cambiare le cose. Il mio primo altrove, la mia prima “India”, è stata la Palestina.