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Sul teatro dello spettatore: teatro, cornici, viaggi, una riflessione di Pietro Floridia

 

Teatro, cornici, viaggi.

Per ragioni, credo, legate alle esperienze che ho fatto, a me viene naturale ragionare sul tema “spettacolo” in termini di viaggio, ovvero tramite schemi, metafore, categorie che appartengono all’esperienza del viaggio. E allora partiamo. Se mi accingo a partire per l’India, mi dispongo mentalmente in modo diverso che se mi accingo a partire per Rimini. Nell’un caso una certa “mitologia” sull’India mi dice che sarà un’esperienza che potrebbe cambiarmi la vita, nell’altro caso no. Questa chiave di lettura, questo sfondo di aspettative, questo pre-giudizio può rivelarsi fondamentale almeno quanto la “realtà India” che andrò ad incontrare perché quanto mi accadrà possa tradursi in un’esperienza significativa per la mia vita. Se nei prossimi anni (potrebbero bastarne abbastanza pochi) dell’India si incominciasse a dire quello che si dice della Cina, ovvero che il capitalismo ne sta cambiando il volto, se dunque la fama, la narrazione, l’alone che circonda l’India cambiasse, cambierebbe anche la domanda di significato con cui e per cui partiamo, cambierebbe “lo sfondo india” (quel groviglio di immagini, pensieri ed emozioni che anche inconsciamente associamo all’India e dentro il quale andremo a collocare la “realtà” con cui entreremo in contatto diretto), con la conseguenza che, probabilmente, a parità di itinerario, a parità di realtà incontrata, il viaggio acquisterebbe tutt’altra rilevanza di significato. Quando parto per Rimini (il prossimo week-end? Forse… Normale) la cornice dentro la quale inquadro il tipo di esperienza che mi accingo a fare, il fatto di dare al viaggio tutt’altro orizzonte di durata, di intenti, di senso, fa sì che porti con me altri schemi interpretativi, altri criteri di valutazione, ma questo (e non Rimini) quasi certamente precluderà in partenza un salto di livello nel significato dell’esperienza. Non so se corrisponda a verità storica dire che un tempo lo spettacolo teatrale fosse l’India, ma lo è per certo dire che ora è una località da week-end o poco più. E questo non necessariamente perché gli spettacoli si siano impoveriti, ma perché è alquanto ridotta la domanda di senso che facciamo ad uno spettacolo, quello che ci attendiamo da questa esperienza. Ecco perché il tipo di ricerca teatrale che conduco, lavora e lavorerà molto sul patto iniziale che si va ad instaurare con gli spettatori. Si tenterà di rendere meno facile per lo spettatore inquadrare l’esperienza dentro quel rituale sociale/cornice prestodefinibile come “spettacolo teatrale”, nella convinzione che anche solo l’ostacolare il ricorso a schemi automatici possa attivare altri collegamenti, altri sfondi, altri serbatoi che darebbero “a parità di itinerario” una maggiore significatività all’esperienza. Ed ora di nuovo in viaggio. Perché, come dicevo prima, le domande da cui muove questa ricerca, mi sono esplose durante viaggi. Da ragazzino viaggiavo leggendo. Leggendo sognavo di andarmene che so a Mompracem per poi ritornare con degli oggetti magici con cui trasformare il presente. (Pomeriggi sui compiti, compagni tiranni, timidezze insuperabili.) Da grande non è cambiato molto. Ho continuato a pensare l’altrove come un serbatoio di talismani con cui ritornare e cambiare le cose. Il mio primo altrove, la mia prima “India”, è stata la Palestina.

“Disposizioni per una vita pacifica” Il nuovo spettacolo di Teatro degli Incontri

liberamente tratto da “La tana” di Franz Kafka

15-16-17 marzo e 22-24-25 marzo – ore 21.00
Teatro della parrocchia di S. Crisostomo via Cambini 10 – Milano
Spettacolo per 40 spettatori ad esaurimento posti
prenotazione consigliata: teatrodeglincontri@gmail.com
 
Un progetto di Michele Clementelli, Gigi Gherzi, Marta Marangoni, Antonella Piccolo
Regia Gigi Gherzi
Selezione musiche Francesco Picceo
Elementi di scena Giorgia Aggio, Mariuccia Roccotelli
 
Attori-Autori  Giorgia Aggio, Moreno Agnella, Paola Bechis, Elisabetta Bernardi, Maria Borgato, Michele Clementelli, Raffaella Crisafulli, Davide Del Grosso, Vincenzo Delledonne, Paola Piacentini, Antonella Piccolo, Barbara Piovella, Cristina Quartataro, Rossella Raimondi, Giovanna Ranieri, Mariuccia Roccotelli, Antonella Spina, Giulio Valentini, Anna Zaffaroni
 
Teatro degli Incontri”, con questo spettacolo, ha voluto incontrare il buio, la chiusura, il disprezzo e l'insofferenza dell'altro, il buco nero dei rapporti che mancano, che più non si cercano, di cui si pensa potere fare a meno. Ha voluto chiedersi ragioni e radici profonde di quegli atteggiamenti che portano a chiusure e razzismi, di quell'avvitarsi della città su se stessa, sempre più scenario freddo per le vite, segnate dalla fretta e dal rancore, con le vie diventate puri assi di percorrenza, di quell'esaurirsi di quell'esperienza dell'urbano e del convivere che è stata l'esperienza fondante della città moderna.
Nel farlo abbiamo incontrato Franz Kafka, una volta in più profetico e visionario analizzatore dei meccanismi e dei dispositivi che regolano la vita diventata orfana di certezze, di punti di riferimento, di rapporti con gli altri. La sua talpa, chiusa orgogliosamente nella sua tana, innamorata della sua prigione, pronta a dare la vita pur di difendere il suo (impossibile) isolamento, ci ha raccontato molto di noi.
E ognuno degli attori-autori ha cominciato a rispondere alla talpa raccontando le proprie visioni ed esperienze di solitudine, di negazione dell'altro, di rintanamento, affondando impietosamente le dita all'interno della ferita che ci accompagna tutti.
L'incontro con lo spettatore, in questo lavoro, si fa, rispetto al passato ancora più radicale. Lo spettatore è invitato a condividere con gli attori la domanda sulla natura della tana e della prigione, a vivere la caduta rovinosa di tutte le mitologie della solitudine e dell'isolamento, insieme con Kafka e con le parole degli attori-autori vive lo sberleffo ironico a tutte le ideologie dell'io auto-sufficiente e dell'individualismo che hanno accompagnato queste nostre vite urbane. 
Entrare nelle tane, senza paura del buio, per creare anticorpi e pratiche d'incontro, questo è stato il senso del nostro percorso.
 
Grazie a: Don Nicola Porcellini, Silvio Tursi, Stasia Grella, La Scighera, Comteatro Corsico
e a tutti coloro che hanno partecipato al nostro percorso teatrale: Marzia Alati, Barbara Apuzzo, Valeria Bovè, Eva Carugati, Alice Covelli, Monica Dragone, Davide Garofalo, Daniela Miceli, Silvia Molteni, Roberto Pellizzari, Laura Pirrotti, Veronica Saba, Silvia Selva, Antonio Serra
 
Il teatro degli incontri. Un progetto di cultura e teatro meticcio
 
a cura di: Associazione Identità Plurali, Associazione Villa Pallavicini, Casa della Carità, Cooperativa Tempo per l'Infanzia e gli operatori teatrali del progetto “Il teatro degli incontri”:
Equipe artistica: Silvia Baldini, Giuseppe Buonofiglio, Michele Clementelli, Elena Dragonetti, Marta Marangoni, Francesca Marconi, Antonella Piccolo, Anna Serlenga
Direzione artistica: Gigi Gherzi
 
Il progetto “Teatro degli incontri”si propone di investire energie, pratiche e riflessioni artistiche sul tema vita della e nella città, della condizione dei migranti e delle culture e comportamenti del paese che li accoglie. 
Ci muove una tensione al meticciato, all'incontro radicale tra le culture, a uno sfuggire agli stereotipi con cui la condizione dello straniero e dell'italiano viene normalmente rappresentata. Meticciato che in campo teatrale significa la capacità di inventare atti teatrali dove la complessità dell'Altro, complessità fisica, biologica, culturale, possa venire accolta e trasformarsi in segno teatrale. 
Teatro degli incontri” si pone come un punto di contatto tra le culture, tra cittadini italiani e stranieri, tra operatori sociali e artisti, tra professionisti e non professionisti, tra teatro all'interno degli spazi e teatro che s'inventa nella città, negli spazi non teatrali: piazze, parchi, realtà del territorio.
Teatro degli incontri” è quest'anno lavoro con i cittadini italiani all'interno degli spazi della parrocchia di San Crisostomo, con gli italiani e i migranti del comitato “Avanti insieme” di Villa Pallavicini, con i ragazzi stranieri di seconda generazione raccolti intorno alla cooperativa “Tempo per l'Infanzia”.
Teatro degli incontri” sarà nel mese di giugno, all'interno della zona due, un grande festival, giunto alla sua seconda edizione, che proporrà a tutta la città i temi, gli incontri e le azioni spettacolari create dal progetto.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le tavole gli atti performativi della Città Fragile al Teatro Franco Parenti di Milano.

 

 

 
TAVOLE DELLA CITTA' FRAGILE
 02/02/2012   16/02/2012 
 

 

Mostra Interattiva di Pietro Floridia e Luana Pavani

Collaborazione all’allestimento  Gabriele Silva Luca Pagliano

Video Alicja Borkowska
Atti performativi Gigi Gherzi 
Reperti testuali Gigi Gherzi Anna Serlenga
Fotografie Luciano Paselli
Produzione Teatro dell’Argine  di S.Lazzaro Bologna e  Associazione Olinda –ex ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano.

La mostra “Tavole della città fragile” nell’allestimento che dal 2 al 16 febbraio 2012 si propone ai visitatori degli spazi espositivi del Teatro Franco Parenti di Milano si presenta come evento che pone al suo centro il tema della città fragile e la scommessa di una profonda interazione con il pubblico..

“Città fragile”, che Gigi Gherzi ha interrogato inizialmente con una lunga serie d’interviste, da questo materiale Pietro Floridia ha estratto le trentasei parole chiave che hano dato vita alle opere presentate. A partire da titoli come “vincenti, sbagliati, etichette, maschere, cessi, scosse, corridori” i visitatori della mostra sono chiamati a un’interazione che si basa sulla loro scrittura, sul donare all’opera pensieri e visioni. Contributi che la mostra immediatamente raccoglie, facendoli diventare parte dell’installazione che si propone al pubblico e raccogliendoli all’interno di un grande archivio interattivo sempre consultabile.
In alcune giornate la mostra sarà percorsa dagli atti performativi di Gigi Gherzi, autore insieme con Pietro Floridia dello spettacolo “Report dalla città Fragile” , che, a partire dalle opere e dalle scritture dei visitatori, reagirà con storie e visioni agli stimoli della “città fragile”.
Nell’ultima settimana d’esposizione Gigi Gherzi e Pietro Floridia terranno delle visite-seminario alla mostra, dove per alcune ore insieme con gli spettatori lavoreranno a produrre pensieri, storie, brevi atti teatrali a partire dai temi della tavole.
Un’esperienza di arte partecipata, a partire da domande rivolte al pubblico, che indaga il rapporto tra verità biografica e forma artistica, tra raccolta delle testimonianze e loro poetica rielaborazione.
Un atto di amore verso la città, che vuole segnare un importante momento d’incontro artistico, culturale, umano.

Foyer Alto - Sala Treno Blu

Dal 2 al 16 febbraio 2012

Ingresso Libero

 

 

 

La recensione di Ilaria Andaloro di “Lezione di classe” su www.teatrodinessuno.it

Le cose belle sfuggono, per loro stessa natura, alle definizioni, alle etichette, alle categorie e così può accadere che uno spettacolo teatrale disarmi e sorprenda per l’originalità della forma in cui si presenta, per il fatto di non essere meramente tale, uno spettacolo, ma molto di più, un Incontro. E così può accadere che un incontro – quello con Gigi Gherzi – ti lasci sulla pelle i segni del dubbio, della domanda, delle contraddizioni di questo nostro presente a tratti così confuso e complicato. E così può accadere che un incontro teatrale abbia ancora in sé la capacità di emozionare, fatto sempre più raro in questi tempi piuttosto ambigui, in cui lo stesso teatro pare avere perso i suoi connotati più originari e puri, essendosi anch’esso trasformato in mero contenitore troppo spesso privo di contenuti o in esercizio di stile noiosamente autoreferenziale e narcisistico. Lezione di classe si svolge realmente in una classe – in questo caso quella del Liceo Artistico Toschi di Parma – nella quale noi spettatori, che stiamo aspettando sul corridoio davanti all’aula, verremo accompagnati dallo stesso Gigi Gherzi, autore ed interprete, che da subito infrange le regole del distacco tra attore e pubblico, accogliendoci con un sorriso. E anche questo disarma, poiché non siamo più abituati alla gentilezza, alla dolcezza, alla bellezza di essere considerati con riguardo e con attenzione. Non siamo più abituati ad essere considerati spettatori pensanti, ma solo fruitori passivi e stupidi, destinati spesso a subire il vuoto di significati o, peggio ancora, la manipolazione e la violenza di chi usa il teatro – e l’Arte in generale – con finalità tutt’altro che nobili. Entriamo in classe e notiamo che sui banchi sono disposti dei fogli, raffiguranti belle immagini, realizzate da Teresa Ciulli, dotate di didascalie, tra cui mi colpiscono alcune come La scuola della bugia, Markiati, Il banco del somaro…Gigi ci invita ad osservarle come ci trovassimo all’interno di un museo, davanti ad opere d’arte e ci suggerisce di prendere posto in prossimità della figura e della scritta che sentiamo più nostre; io scelgo il volto di quello che sembra essere un bambino, accanto alla parola Esserci e così ognuno trova il proprio posto, non un posto a caso, in un’anonima platea. Ci guardiamo incuriositi, noi spettatori, e subito ci appare evidente che questo nostro ruolo ha subito un urto, una rottura, una modifica rispetto alla “norma” perché già intuiamo, noi spett-attori, che non potremo certo starcene comodamente e passivamente seduti su quelle sedie ma che saremo chiamati a con-dividere un Viaggio e a rispondere…a cosa, di preciso, ancora, non lo sappiamo ma ecco che subito giunge il momento dell’appello e i nostri nomi, letti dal maestro Gigi, acquistano un sapore strano, un’eco lontana che sopraggiunge carica di ricordi che credevamo cristallizzati nel tempo ma che finalmente possiamo vivificare. Siamo ritornati alunni. Rispondiamo a quell’appello, siamo presenti, tutti, presenti a quella storia, che ci verrà di lì a poco raccontata, presenti a Gigi, ma presenti, soprattutto, alla nostra storia, al nostro tempo, a noi stessi. L’Autore dichiara da subito, con chiarezza di intenti, che questo suo lavoro è dedicato ai somari e agli ultimi e cita, sorprendendoci, un insospettato somaro, Amleto, anche lui alle prese con il grande dilemma – cui ognuno di noi è stato, nei tempi scolastici, sottoposto – quello del che cosa fare da grande, del cosa diventare, nel suo caso addirittura un re, il dilemma, per tutti, del cosa essere o non essere… . Siamo diventati spett-autori. Entriamo immediatamente nel vivo di questo Incontro, sentiamo il peso e l’importanza di domande grandi e scomode, che spesso abbiamo allontanato, ma qui ed ora ci viene chiesto di ricordare, di scrivere, di ritornare …al nostro banco, alla nostra aula, alla nostra scuola, al nostro avere incontrato somari, al nostro essere stati somari, al nostro avere o non avere conosciuto veri Maestri…ripercorriamo la mappatura del nostro personale racconto – che è il racconto della nostra vita – siamo invitati a riscoprire il gusto delle parole, a capovolgere gli usuali paradigmi del nostro vedere e del nostro sentire che ci ingabbiano entro stereotipi castranti, a riflettere sul fatto che troppo spesso ragioniamo per categorie, dietro alle quali ci nascondiamo per fragilità, per inadeguatezza, per paura di valorizzare la nostra diversità e la nostra unicità. Siamo chiamati ad interrogarci sulla possibilità di invertire i ruoli, di essere allievi e maestri, come voleva la paideia greca, sempre simultaneamente gli uni agli altri, cosa che costa fatica. Siamo chiamati a ragionare sulle difficoltà dell’essere insegnante e nel contempo su quelle dell’essere alunno, sul disprezzo reciproco che spesso si insinua tra il primo ed il secondo generando un clima di guerra, controproducente per entrambi. Siamo chiamati ad essere sinceri con il nostro passato, con i nostri ricordi, con i nostri errori, rivendicandone il diritto di averli commessi, con la nostra Memoria, alla quale, come ci ricorda Gigi Gherzi, non dovremmo mai rinunciare, perché essa è in grado di creare connessioni non intellettualistiche bensì collegamenti dAnima. Siamo chiamati ad essere sinceri. E proprio sulla scia di queste associazioni d’anima l’Autore si commuove nel ricordare gli amati Caravaggio, Pasolini e Testori – intimamente legati l’uno all’altro – e anche noi ci commuoviamo con lui, perché ne percepiamo la sincerità, perché ci facciamo toccare dalla sua delicatezza e perché è bello condividere un’emozione, quando la senti vera. Siamo chiamati anche a chiudere gli occhi per ripetere ed imparare i versi di una poesia di Erri De Luca, Valore, e ci riusciamo, in pochi minuti, perché non è poi così complicato memorizzare parole associandole ad immagini, sensazioni, evocazioni…quell’apprendere creativo che di rado a scuola ti viene insegnato ma che il Teatro può e sa incarnare…chiudiamo gli occhi e parliamo, tutti insieme…considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora pococonsidero valore tutte le feriteconsidero valore provare gratitudine senza ricordare di chesiamo chiamati, infine, ad assaporare, fuor di retorica, alcune parole – ricordate con commozione dallo stesso Gigi – forse abusate, forse manipolate, forse dimenticate ma che qui, in questa classe, con questo Maestro/Allievo davvero speciale si riappropriano della loro forza, della loro problematicità, della loro Bellezza.Le parole sono:  Amore e Missione educativa.

Il teatro di Gigi Gherzi – autore, attore, drammaturgo milanese – si presenta in maniera sovversiva ed in controtendenza rispetto al panorama teatrale nazionale; è un teatro dello spettatore che invita chi vi partecipa ad assumere un ruolo attivo e ad interrogarsi su questioni etiche, sociali e culturali fondamentali. E’ un teatro politico nel senso più originario del termine, che ripristina l’antico e nobile valore di Teatro inteso come assemblea, come cittadinanza, come comunità, ma anche come rito, in cui il cittadino\spettatore ha la possibilità di vivere momenti di reale condivisione di problematiche di natura morale e civile; è un teatro delle emozioni perché basato su modalità drammaturgico-narrative tali per cui, dentro lo spettatore, nasca una personale verità, condivisa con l’Autore e con gli altri compagni di Viaggio. Nell’ambito del teatro dello spettatore rientra anche il bellissimo lavoro dal titolo Report dalla città fragile - liberamente tratto dal romanzo Atlante delle norme e dei salti di Gigi Gherzi, Olinda\Compagnia Teatro dell'Argine con lo stesso Gigi Gherzi, allestimento scenico e regia di Pietro Floridia – in scena presso ITC Teatro di San Lazzaro, San Lazzaro di Savena ( Bologna ) da mercoledì 7 a domenica 11 e da mercoledì 14 a domenica 18 dicembre 2011.

Consigliato a tutti coloro che provano ancora il desiderio ed il coraggio di emozionarsi.

Ilaria Andaloro

 

 

La recensione di Alessandro Paesano su www.teatro.org

 

Gli abitanti della città fragile siamo noi

Alle origini di tutto c'è lo spettacolo Report dalla città fragile. Anzi no. Alla fine di tutto c'è lo spettacolo di Gigi Gherzi (autoreattore) e Pietro Floridria (regista). Lo spettacolo è infatti il risultato di diversi percorsi di ricerca: quello del Teatro dello spettatore in cui Gherzi e Floridia chiamano lo spettatore a collaborare alla drammaturgia; quello dell'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano, che, da spazio abbandonato, è divenuto, grazie all'associazione Olinda, un luogo di cultura e di vita  partecipata. Ci sono le vite delle tante persone che hanno transitato per l'ospedale, da ricostruire e da venire restituite. C'è un modo altro di fare teatro, di raccontare, di organizzare la materia narrativa, frutto del percorso e delle esperienze di una vita (dal post 68 in poi).
Ma tutto questo non si vede. O meglio. Se ne vedono le tracce, gli effetti e i risultati, presentati allo spettatore in uno spettacolo che è al contempo una istallazione artistica. Ed è dal punto di vista dello spettatore che vogliamo raccontare Report dalla città fragile uno spettacolo unico nel suo genere, anche se filiazioni, ascendenze e inquadramenti nella cultura italiana, teatrale e non, sono agevolmente possibili. Ma non prioritari. Almeno non prima di restituire l'esperienza dello spettatore che costituisce il vero cuore dell'allestimento.
Gherzi fa entrare il pubblico in due diverse ondate e prima ancora di farlo accomodare nelle panche poste a forma di lettera U al centro della sala, ci spiega che da qualche tempo sia girando per la città fragile alla ricerca di storie, di persone, che intervista. Di tutte le storie ascoltate, di tutte le interviste fatte agli abitanti della città fragile ha raccolto 35 parole, per ognuna delle quali Piero Floridia ha allestito, come tessere di un mosaico, delle tavole tridimensionali, utilizzando come contenitori i cassetti di legno degli antichi classificatori, nei quali usa materiali di recupero: rami, rame, vetro, parti di vecchie bambole, opportunamente riassemblati per dare una reinterpretazione visiva delle 35 parole-immagine, un omaggio analogico all'arte, lontano dall'uniformità del digitale (impiegata come tecnologia, nelle videoproiezioni e nel registratore che Gherzi ha usato per le sue interviste),ma non come ricerca estetica. Ogni tavola costituisce l'esaltazione del lavoro manuale, preciso e certosino, che rimanda alla parola scritta che diventa parte integrante di ogni tavola: un parallelepipedo di legno riporta, trascritti a matita, l'estratto di una intervista e una citazione letteraria. Una scheda, di quelle da archivio, ospita invece i commenti del pubblico, delle repliche precedenti, che Gherzi invita a implementare lasciando nuovi commenti. Poi lascia liberi gli spettatori di esplorare le 35 tavole, allestite sulle pareti della sala, dietro le panche disposte a U che ne occupano la parte centrale. Un lato della sala, quello dal quale agirà Gherzi come narratore, ci sono dei mobili-classificatori con alcuni dei cassetti aperti, che mostrano immagini retro-proiettate, mentre altri classificatori chiusi hanno uno spioncino attraverso il quale guardare.