La Repubblica – 13/05/2011

di Sara Chiappori

Lo sguardo di Gherzi sulla Milano che spera. 

Fa domande al pubblico e prende spunto dalle risposte. 

Disegna la mappa di una città immaginaria e più vivibile

Ha un sorriso disarmante Gigi Gherzi, con quella faccia segnata e i grandi occhi ancora spalancati sul mondo con la voglia di capire. Per lui gli spettatori non sono pubblico da addomesticare, sono compagni di strada da invitare lungo le traiettorie di un viaggio condiviso. Coraggioso perché in radicale controtendenza rispetto al cinismo che ci ha contagiato un po´ tutti. Lui no, teatrante che arriva dalle esperienze degli anni Settanta conservandone il meglio, e cioè l´idea che la scena possa trasformarsi in piazza pubblica dove tutti sono chiamati all´assunzione di responsabilità. Teatro politico, il suo, perché teatro dello spettatore che se ne infischia del rischio naif e invita la platea a farsi assemblea. Un percorso iniziato con spettacoli come Errata corrige o La strada di Pacha, ora messo a punto attraverso questa nuova sfida davvero emozionante, costruita insieme a Pietro Floridia. Si intitola Report dalla città fragile e nasce grazie a una lunga residenza all´ex Paolo Pini, nodo nevralgico di una Milano ostinata che ancora crede nel valore di un progetto, ci investe e ci scommette, mettendo in relazione la sua storia di ex manicomio con il suo presente di spazio civile. Habitat perfetto per questo lavoro che più o meno funziona così. Gherzi accoglie il pubblico all´ingresso del Teatro LaCucina e lo invita a percorrere lo spazio disseminato di oggetti: sono le preziose tavole tridimensionali create da Pietro Floridia con materiali recuperati (rami d´albero, pezzi di bambola, boccette di inchiostro, frammenti di piatti, uova dipinte, chiodi). A ciascuna corrisponde una domanda, o meglio un´immagine – solitudine, alberi, carriera, vincenti, lamenti, scosse – alla quale si può rispondere scrivendo su block notes messi a disposizione. E tutti (o quasi) danno il loro contributo, tasselli di una drammaturgia collettiva che poi Gherzi reinterpreta improvvisando sulle diverse risposte. Sciamano mansueto con la dedizione dell´archivista, raccoglie gli spunti offerti dal pubblico, assembla gli sguardi, compone i frammenti di un disagio che riguarda tutti, rilancia il diritto all´utopia disegnando la nuova mappa di una città invisibile. E colpiscono le risposte sull´inadeguatezza, sulla mancanza di tempo, sulla frantumazione dei rapporti, sul bisogno di tornare a parlarsi, sulla bellezza rubata in qualche angolo dimenticato. La forza di Gherzi è nella sua sincerità, nel suo mettersi in gioco senza rete invitando il pubblico a fare altrettanto perché intorno a quel cerchio, che è teatro perché rito laico ed esercizio consapevole della cittadinanza, a tutti è permesso sentirsi fragili. Vista da qui, Milano fa meno paura.