La stampa

la Repubblica, Franco Quadri
Curioso non spettacolo che evoca la voglia del nuovo, La strada di Pacha, diretto da Pietro Floridia per il Teatro dell’Argine di Bologna: da quando entrando in sala ti trovi in una specie di museo dove, in tre scomparti evocanti rispettivamente l’infanzia, l’esilio e la guerra, scopri una serie di curiose composizioni a mezza via tra arte e gioco, a volte dei video,con acclusi comunque foglietti che ti chiedono di rispondere a domande su ciò che vedi, e sulla vita di Pacha, una donna nera del Nicaragua oggi sui 40, che a dodici anni già si curava di salvare i bambini della strada, prima di emigrare in Honduras e tornare infine a occuparsi di un barrio di Managua, come ci dirà poi Gigi Gherzi che seguì le vicende di questo gran personaggio anche in un romanzo scritto con Giovanni Iacopuzzi. Ora il suo appassionante racconto scorre con una divorante naturalezza, se si pensa che questa sua lunga evocazione ha la particolarità di cambiare ogni sera, perché il prorompente monologo parte dalle risposte date dagli spettatori alle domande trovate nei siti museali all’inizio. Si vive così l’attrazione e le angosce di un vivere alla giornata in un paradiso naturale in disarmo dove però non è proibito sperare.

Hystrio, Massimo Marino
E’ teatro di narrazione, ma è anche qualcosa di nuovo. Entri in teatro e su una parete trovi subito una pianta di Managua. Sei precipitato in uno dei brulicanti,  poveri ghetti della capitale del Nicaragua. Le poltroncine della sala sono vuote: gli altri spettatore si aggirano sul palcoscenico in un incantato museo rugginoso. Gigi Gherzi, l’attore che ha raccolto le storie di Pacha, una donna nera che ha attraversato guerre e sogni, fame e lotte, ti invita a mescolarti agli altri, a visitare il palcoscenico, a rispondere per iscritto a domande vergate su bigliettini di diversi colori. Ti chiede cos’è per te un confine, cos’è la guerra o il ricordo, a altre domande fondamentali, che mettono in gioco. Ci sono armature piene di ingranaggi scardinati, polverose macchine della memoria, panchine sfondate, scale che non portano a nulla, scatole dei ricordi, città fatte di ricordi, città fatte di vecchie serrature, gabbie, rami secchi, caleidoscopiche giostre di latta, un intero mondo incantato e ferroso, come la nostra età, da esplorare, da sognare, lasciandosi prendere la mano dal tempo. Per ora, lo spettacolo devi farlo tu, visitatore, giocando con quelle macchine, ridestando memorie, tra i suoni delicati di Mario Arcari e le videoanimazioni di Ericailcane. Finalmente Gherzi ci raduna: partendo dalle risposte ai bigliettini, ricompone la storia, un po’ improvvisando, un po’ no, narrando di rivoluzioni e conflitti, facendo viaggiare tra eserciti che sbarrano la strada della vita, introducendo negli slum della metropoli e nella vita difficile ma allegra di Pacha, tra spacciatori e bambini di strada, in venti anni di fughe, violenze e irriducibili speranze. Il tono non è mai didattico, semmai partecipato. La storia nasce da un lungo soggiorno in Nicaragua, da storie colte personalmente. Non c’è ideologia: solo la voglia di comunicare un’esperienza, uno squarcio di vita distante che pure ci riguarda, un pezzo di mondo lontano reso vicino, con attenzione e devozione.

 

Corriere della Sera, Bologna, Massimo Marino
Entri in teatro e sei subito ne Le strade di Pacha, precipitato in uno dei brulicanti, poveri ghetti di Managua, Nicaragua. Una mappa, le poltroncine vuote, gli altri spettatori che si aggirano sul palcoscenico in un incantato museo rugginoso. Gigi Gherzi, l’attore che ha raccolto le storie di questa donna nera attraverso guerre e sogni, fame e lotte, ti invita a mescolarti agli altri, a rispondere a domande vergate su bigliettini. Ci sono armature piene di ingranaggi scassati, polverose macchine della memoria, panchine sfondate, scale che non portano a nulla, scatole dei ricordi, città fatte di vecchie serrature, gabbie, rami secchi, caleidoscopiche giostre di latta… Un mondo da esplorare, da far vivere, tra i suoni delicati di Mario Arcari e le videoanimazioni di Ericailcane e Alicja Borkowska. Questo originale spettacolo con la regia di Pietro Floridia lo fai anche tu. Finalmente Gigi Gherzi ci raduna: partendo dalle nostre risposte ai bigliettini, ci porta tra eserciti, bambini di strada, in 20 anni di fughe, violenze e irriducibili speranze.

lospettatore.it, Nicola Zuccherini
A forza di andare a teatro si diventa sospettosi o creduloni, sempre con torto. E più ti interessi al contemporaneo, al nuovo, alle invenzioni, più diventi incredulo e fastidiato dagli esperimenti, dalle contaminazioni, dai tentativi studi prove che affollano il fiorente mercato dell'incompiuto teatrale. Però, quando è stata la volta della prova di "teatro dello spettatore" ideata da Gigi Gherzi e Pietro Floridia per la Compagnia del Teatro dell'Argine con la produzione La strada di Pacha, il profumo di qualcosa di nuovo lo si è sentito.
L'attore ti accoglie, ti fa salire sul palco, con molta dolcezza e molta convinzione dipinte sulla sua faccia impossibile di maturo adolescente, ti invita a visitare il museo di Pacha (ma chi è? si domanda uno nel frattempo), dove c'è la cartina di Managua (ah ecco, si deve leggere Pàcia e non Pascià, devo aspettarmi aria latina e non atmosfera mediorientale) e tanti oggetti costruiti con materiali sfatti e rugginosi, cose che conservano solo vagamente l'aspetto di ciò che furono, macchine da cucire, cassetti, gabbie. In ciascuna di esse è nascosta una piccola meraviglia: una lanterna magica, un ingranaggio da azionare, delle figure minuscole da scoprire. Accanto, una domanda scritta e una pila di bigliettini per rispondere. Pescando tra questi biglietti Gherzi, ripreso possesso della ribalta, racconta la storia di Pacha, educatrice di strada nella capitale del Nicaragua, ma prima ancora soldatessa, commerciante, figlia di pescatori. Sono le risposte degli spettatori a dare il via agli episodi della narrativa, che risulta, così, diversa di sera in sera. Il gioco diverte e disorienta piacevolmente, senza sostituirsi al racconto di una biografia appassionante e lasciando libro il flusso delle emozioni. Anche la retorica, sempre in agguato, è tenuta a bada.
Il lavoro sul personaggio di Pacha meriterebbe un'analisi approfondita, che lasciamo agli specialisti limitandoci a osservare come, nelle parole di Gherzi, ci appare dapprima una figura mitica, eroica, ritta al centro della baraccopoli infestata dalle bande e dalla droga dove lotta per sé e per gli altri, poi si svela per gradi una donna simile a tante e uguale a nessuna, con la sua forza di femmina e le sue stranezze. Presentato nelle scorse settimane all'Itc di San Lazzaro presso Bologna, lo spettacolo fa parte di un più ampio progetto di cui si può avere notizia qui: http://www.gigigherzi.it/index.html

Nokoss.net, Valentina Fulginiti
La strada di Pacha non è solo uno spettacolo. È molto di più. È una città di domande e risposte. È un romanzo, scritto a quattro mani da Gigi Gherzi e Giovanni Giacopuzzi. È un bar, dove ci si rilassa ascoltando musica calda e bevendo birra fredda. È uno spazio di dialogo, un teatro di domande e risposte cui tutti possono accedere.
È un museo, che contraddice tutte le regole dei musei normali; qui le opere vanno toccate, e proprio nei punti sensibili, pulsanti e manovelle, se no l’opera non “parla”. Più che oggetti, sono creature, di ferro e latta, di legno (anche marcio) e zinco. Cose che riprendono una vita e pongono domande, si lasciano toccare.
La storia di Pacha viene intessuta ogni sera in maniera diversa dal performer, che rielabora il suo racconto a partire da tutte le risposte, che gli spettatori hanno annotato e lasciato cadere in quattro ceste. Il senso dell’esperienza è tutto qui: nulla ti parla se non sei disposto a interrogarlo, a stabilire un’apertura che è prima di tutto interiore. Al pubblico il narratore racconta la storia di Pacha, donna nera che lotta contro la violenza dei pusher e dei pandilleros, capibanda criminali; la donna che cucina riso e fagioli per gli ultimi della discarica, quella che dorme con i ragazzi di strada, che sapeva creare comunità anche a undici anni, tra un fitto gruppo di alberi. Pacha nell’esilio, nella controrivoluzione e nella guerra.
Nella seconda parte dello spettacolo, si comincia finalmente a capire, che cosa vuol dire“essere comunità”. Saper condividere un cerchio, un bicchiere in mano; ma anche e soprattutto provare a immaginare la vita dell’altro. Ognuno prende in mano una foto (con le dovute cautele: spesso “l’immagine è la fine di tutti i racconti”, dice serio il performer), e per una volta, la guarda senza la solita anestesia morale.
Davvero, si scende dal palco un po’ diversi da prima: arricchiti come persone. È un modo per condividere un racconto, assumendone la responsabilità. Perché, come dice Pacha quando racconta il suo affetto per i ragazzi di strada, “le parole non contano. Conta l’esserci”.

Livia Grossi, Il Corriere della Sera
Non bisogna farsi sfuggire La strada di Pacha, spettacolo di Gigi Gherzi con la regia di Pietro Floridia nato dal viaggio compiuto dall'autore in Nicaragua. Un lavoro coinvolgente in tutti i sensi, a partire dalla partecipazione diretta dello spettatore che diventa elemento essenziale del rito proposto dall'attore. E' l'abilità di Gherzi e la sua capacità di improvvisare convogliando le risposte degli spettatori in un unico racconto, a compiere la grande magia. E tra due note di musica di raggae, un sorso di birra e qualche foto che restituisce la realtà di quel paese, anche noi alla fine ci troviamo in quel bar immaginario alla periferia di Managua.

Claudia Cannella , ViviMilano
Senza retorica o ideologia, Gigi Gherzi ci guida in un viaggio emozionante verso mondi apparentemente lontanti.
Raffaella Ilari, Arcoiris tv
Si segue da sempre con attenzione il lavoro di un artista come Gigi Gherzi, autore attore milanese, classe 1955, che ha firmato testi e regie per alcuni dei più importanti gruppi di teatro di ricerca italiani e che da sempre è impegnato nell’indagine di quelle culture considerate ai margini, all’interno delle carceri come nei centri sociali autogestiti o nelle scuole o ancora nel Sud del Mondo.
Con “La strada di Pacha”, firmato a due mani insieme ad un altro artista di sensibilità affini, Pietro Floridia, regista della Compagnia Teatro dell’Argine, ci offre una esperienza assai singolare. Non si tratta di uno spettacolo vero e proprio, e nemmeno di uno spettacolo di narrazione nel senso più tradizionale del termine. Forse, abbiamo a che fare con un’esperienza teatrale (e civile) resa possibile dall’incontro tra la presenza dell’artista che conduce e quella dello spettatore, al quale viene chiesto di mettersi in gioco, con la propria scrittura, con le proprie parole, con il proprio pensiero.
Non a caso lo spettacolo è il frutto di riflessioni che i due artisti, con intelligenza e onestà stanno da tempo portando avanti in un progetto definito appunto “Il teatro dello spettatore”.
Il pubblico viene fatto entrare in una sorta di museo, uno spazio a metà tra un luogo d’arte contemporanea e un luogo di giochi d’infanzia, uno spazio della memoria che prende vita dall’interazione degli spettatori con le sculture di ferro e di legno, gli oggetti, i video.
Che cos’è la distanza? Che cos’è l’infanzia? E la guerra? E confine? E rifugiato? Cosa ci fa venire in mente la parola esilio? Le risposte scritte del pubblico permettono la costruzione di una partitura che l’attore abilmente utilizza ed intreccia con la storia di Pacha, donna nera del Nicaragua sui 40 anni che già a dodici anni si occupava di salvare i bambini di strada. Nel suo passato l’infanzia in un paesino sul mare, poi la guerra, l’esilio e la vita nelle bande giovanili. Nel suo presente l’amore per la sua città, il suo lavoro nei quartieri più poveri.
“La storia di Pacha” è anche la storia del Nicaragua, una storia che arriva dal fondo del mondo, solo in apparenza lontana, oggetto di riflessione e di interrogativi in una sorta di rito condiviso. Il rito dell’incontro a teatro. Ecco qui il teatro dello spettatore: sono infatti gli spettatori a creare l’evento che cambia ogni sera, con storie ed episodi sempre diversi. Ci sono domande a cui rispondere, fotografie da osservare e da decifrare, stimoli e storie che attore e spettatore si scambiano decidendo insieme quale strada percorrere, quali responsabilità assumersi.
Pacha è anche un romanzo, Pacha della strada, scritto a quattro mani da Gianluigi Gherzi e Giovanni Giacopuzzi (Sensibili alle foglie, 2008) nato dai ripetuti viaggi in Nicaragua, da lunghe interviste, dalla frequentazione ed esplorazione di alcuni posti nella vita di Managua e del Centro America: i barrios poveri, i mercati, i luoghi di vita e di ritrovo dei niños de la calle, i bambini di strada.
Gigi Gherzi sta nel cerchio degli spettatori come un narratore attorno al fuoco, e sbriciola storie, aneddoti, esperienze, riflessioni che riguardano Pacha e la sua vita. Lo spazio di Pacha diventa un luogo incantato, un museo della memoria che crea una comunità e permette di reinventare il teatro nell’incontro con lo spettatore.
Ci auspichiamo che questa ricerca possa in futuro svilupparsi e trovare nuova linfa proprio dal contemporaneo attorno a noi, da tutto ciò che ogni giorno ci disturba, ci affligge, ci turba. Perché “il teatro dello spettatore” ha un grande pregio: puntare dritto al cuore e far esercitare le nostre menti spesso troppo assopite.