Due giornalisti (Angelo Miotto e Matteo Scanni) e tre attori (Giuseppe Buonofiglio, Gianluigi Gherzi e Swewa Schneider) decidono di portare il giornale a teatro. Il quotidiano. Il quotidiano del giorno in cui si presenta l’evento.

Decidono di aprirlo davanti al pubblico. Di analizzarlo. Di interrogarlo. Di giocarci.

Ogni sera un giornalista ospite (fino ad oggi Piero Colaprico, Giangiacomo Schiavi e Piero Scaramucci) si ritrova in scena. Una sedia in mezzo al palco. Una dimensione da “personaggio”. In diretta, senza copione, senza alcun accordo precedente, reagisce a quello che sta succedendo. Integra, contesta, approfondisce i conflitti e gli eventi che si stanno sviluppando.

Arrivano gli attori. Interpretano uomini e donne le cui storie non sono state mai pubblicate. Protagonisti di “notizie invisibili”. Chiedono, interagiscono coi giornalisti.

L’evento si realizza. Il pubblico riempie per tre sere (24-26 maggio 2006) il Teatro I di Milano. I quotidiani trovano da subito la cosa interessante e ci danno spazio. Alla fine discussioni infinite e piene di passione. Zavattini ci aveva visto giusto.

Perché Zavattini? Perché è lui, in una delle sue visioni, a scrivere: “Bisognerebbe portare il giornale a teatro. E che gli attori siano portatori di notizie.”

Questa cosa mi ha colpito. Perché io sono appassionato di Zavattini. E di giornalismo. Leggo i giornali con avidità, cerco dentro storie e cronache del presente. Forme di narrazione e osservazione della realtà di grande interesse, per me che scrivo. Per una drammaturgia del presente.

Allora mi muovo. Trovo due importanti compagni di strada. Angelo Miotto è una voce storica di Radio Popolare di Milano. Ed è anche musicista e pittore. Uno che quando ti parla di giornalismo lo fa con arte. Matteo Scanni insegna giornalismo in Università Cattolica. E’ un giornalista free-lance. Con la passione delle inchieste. Due delle sue vincono il premio “Ilaria Alpi” per il video giornalismo. Comincia a raccontarmi la sua vita di giornalista. Le sue avventure e le sue scommesse.

Alla fine decidiamo che sì, Zavattini aveva ragione, che leggere il giornale a teatro è una gran bella idea. E che sopratutto è necessario che, d’informazione, si ritorni a parlare in tanti. In un ambito collettivo. Nel tempo del presente. In teatro.

 

Però ci diamo un anno di studio. Con Angelo preparo una conferenza-spettacolo sul tema delle notizie invisibili. Quelle che spariscono. La facciamo dal vivo, e in diretta a Radio Popolare. Molti, il giorno dopo, telefonano in radio. Interessa. Vogliono creare una rete. Bene.

Con Matteo scrivo una narrazione. Si parla di un cronista che gira per una metropoli. Cerca di catturare vite segrete e il senso dei mutamenti che accadono. Si imbatte in situazioni limite. Scrive inchieste. Comincia una battaglia, al limite anch’essa, per la loro pubblicazione. Anche qui, letture dal vivo e diretta a Radio Popolare. Reazioni buone. E’ ora di affrontare l’ostacolo: portare il giornale a teatro. Come?

Ci troviamo davanti tre grosse questioni:

1) Non ci interessa né fare una conferenza né fare teatro in senso stretto. Scegliamo di cercare insieme un tipo di comunicazione, un territorio espressivo, che non appartiene né a loro, giornalisti, né a me, regista e scrittore di teatro. Scegliamo di andare tutti e tre sul palco, di non fare che loro “scrivano” e poi osservino me che “metto in scena”.

2) Partiamo dalla lettura del quotidiano ma ci troviamo subito davanti alla realtà di tutta l’informazione oggi e del suo rapporto col mondo. Mettiamo a fuoco un asse drammaturgico attorno al tema della “sparizione”. Sparizione delle notizie, che rimangono invisibili. Sparizione d’alcune zone del mondo, di cui l’informazione spesso tace. Sparizione della figura del giornalista come “esploratore di realtà”. Sparizione di tutti noi, perché una cattiva informazione crea un danno grave alla nostra coscienza personale e collettiva.

3) Non ci interessa fare uno spettacolo in senso stretto. Ci interessa un evento da giocare con il pubblico. Decidiamo di lavorare rigorosamente sul quotidiano del giorno in cui è proposto l’evento. Nei giorni di presentazione ci troviamo sommersi dai giornali e dai lanci delle agenzie stampa. Perché le notizie su cui lavorare vanno scelte al momento. Perché bisogna rendersi conto, attraverso l’esame dei lanci d’agenzia, di cosa è diventato notizia e cosa invece no. Decidiamo di invitare ogni giorno di presentazione dell’evento un giornalista diverso. Di chiedergli di venire senza saper nulla di quello che accadrà. Loro accettano.

Ventiquattro maggio. Eccoci davanti al pubblico. Si comincia. Si confrontano i titoli dei maggiori quotidiani. Le notizie che dominano. Ci s’interroga sull’omologazione, evidente nei contenuti e nelle forme. Ci si chiede quali criteri informino la griglia che seleziona le notizie. Ci si trova davanti, nel confronto tra notizie pubblicate e notizie rimaste sulle scrivanie, alle “notizie invisibili”. Cominciano ad arrivare gli attori, con le loro storie di cui nulla si è mai saputo.

Io intanto racconto di Zavattini, delle sue visioni sull’informazione, narro la leggenda delle cinque esse (sesso, sport, soldi, sangue, spettacolo), un video ci porta a “Comizi d’amore”, il film inchiesta di Pasolini.

L’ospite arriva e normalmente ci spiazza. Piero Scaramucci ha sotto il braccio “I poveri sono matti” di Zavattini, e ci trascina in una narrazione epica di grandi pagine e grandi disastri del giornalismo. Piero Colaprico ci va giù duro: “A nessuno interessa la verità, oggi”. Giangiacomo Schiavi, da capo-redattore delle pagine milanesi del Corriere della Sera, ci racconta delle difficoltà di dare spazio alle notizie “strane” e dei giornalisti che non si spostano più dalle scrivanie.

Gli attori incalzano, con le loro vite in cerca di narrazione. I giornalisti cominciano a declinare la parola “sparizione”. Sparizione per sovradosaggio. Per manipolazione. Per spettacolarizzazione. Per retorica. Per omologazione. Per convenzione.

La nozione d’invisibilità attraverso racconti, aneddoti, inserti teatrali, proiezioni, prende forma. Il mondo diventa una cartina che lentamente perde i pezzi. Alla fine nessuna morale e nessuna conclusione. Sedersi di fronte al pubblico. Lasciare la questione aperta.

Di una cosa siamo particolarmente contenti. Di sperimentare una possibile forma di rito civile. Uno spazio della comunicazione che appartenga fino in fondo al presente, nostro e del pubblico, con gli echi delle notizie del giorno ancora nelle orecchie, con noi e il giornalista ospite che ci giochiamo la partita di un incontro non scontato.

Tutto questo è stato possibile grazie alla sensibilità artistica, alla freschezza, alla gentilezza di Renzo Martinelli, Federica Fracassi e di tutti i lavoratori di Teatro I. I posti sono importanti. E Teatro I racconta la forza e la ricchezza possibile nell’aprire e gestire oggi un piccolo teatro nella metropoli-Milano.

Adesso “Errata Corrige-Il giornale a teatro” comincia a viaggiare. Vuole attraversare teatri, aule universitarie, luoghi della società civile. Ci affascina l’idea dei contesti e dei pubblici diversi che affronteremo, dei nuovi ospiti che incontreremo.

E’ nostra intenzione continuare a lavorare su questo tema. Esplorare fino in fondo la forza del rapporto tra giornalismo e teatro. Abbiamo scoperto l’esistenza di una drammaturgia della notizia e dell’informazione. E questo è stato uno straordinario arricchimento reciproco.

Attorno a ”Errata Corrige” si sta creando una fitta rete di contatti. Questo, per noi, è importante. Così, chiudiamo con i nostri recapiti mail.

Gigi Gherzi gianluigigherzi@tiscali.it

Angelo Miotto miotto@radiopopolare.it

Matteo Scanni presenza@unicatt.it.

Gianluigi Gherzi