Laura Timpanaro

Intervista a Gigi Gherzi su Fuori Via

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Intervista a Gigi Gherzi su Fuori Via

Le periferie, Testori, Pasolini e la caduta del sacro ai tempi di Facebook.
Quattro chiacchere con Gigi Gherzi, reduce dal successo dello spettacolo Fuori Via.

Fuori via è stato uno spettacolo di grande impatto emotivo, qual è stata la genesi di questa pièce?

Volevo rendere omaggio ad un personaggio per me molto importante: Giovanni Testori, non solo grande drammaturgo, ma instancabile studioso di arte. La mia intenzione era però quella di uscire fuori dal doppio binario su cui la critica ha sempre interpretato Testori, cioè cantore degli emarginati per la sinistra, cattolico osservante per la destra. Ho cercato di uscire fuori da una lettura univoca che non avrebbe reso giustizia alla grandezza dell’uomo Testori.

Nicaragua in Fuori Via, Via Padova nella tua attività di attore. Che ruolo riveste la periferia oggi per te?

Nicaragua è stata la periferia estrema della mia vita, un luogo isolato geograficamente in cui si concentra povertà ed emarginazione. Ma anche luogo di nascita della poesia della miseria. È stato utile per me, anche cogliere la distanza nel rapporto con le periferie tra Pasolini e Testori. Pasolini aveva un rapporto lirico con le periferie, soprattutto nel primo periodo della sua attività, intorno a gli anni ’50, vi riconosceva un mito d’innocenza, una zona sfuggita all’omologazione. Testori, invece, nelle periferie andava alla ricerca del “sacro”, meno connotato politicamente, più marcato in senso ascetico e spirituale. In via Padova, punto di incrocio di diverse culture, concepita come la zona equatoriale della capitale lombarda, porto avanti il progetto del teatro di strada. Il mio obiettivo non è tanto l’integrazione, che ormai di fatto si è instaurata, quanto capire cosa possono fare insieme culture tanto diverse.

Che cosa lega Testori ad una periferia del mondo qual è il Nicaragua?

La concezione del dolore, lo sguardo sulla sofferenza. Testori concepisce l’arte come una possibile risposta al dolore, è in lui molto profonda la comprensione del legame tra arte e dolore e tra arte e povertà. Un dolore che è qualcosa di molto diverso dalla tristezza, è più autentico, carnale, vivo. La tristezza è invece la negazione del dolore. Le culture che non sanno vivere il dolore e la tragedia sono tristi, ed incapaci di provare gioia.

Il riferimento a i social nel tuo spettacolo che ruolo ha?

Facebook ed i social fanno da ponte tra la condizione artistica e la vita spirituale. Segnano la caduta del sacro e dei riti del nostro tempo. Testori contrappone il sacro allo svuotamento del mondo. Oggi la caduta del sacro possiamo interpretarla come uno scacco matto all’arte.


Fuori via” è una espressione lombarda molto cara a Testori che diceva, a proposito della sua passione militante per l’arte lombarda, di aver fondato il gruppo dei critici Fuori Via, di cui era presidente essendone anche l’unico partecipante. Forse non era l’unico, perché nel delicato spettacolo di Gigi Gherzi per la regia di Maurizio Schmidt, c’è un bambino che negli anni 60 segue controvoglia il proprio padre tutte le domeniche per strade impervie, alla ricerca di chiesette e madonnine sperdute fuori via. Quel padre è affascinato dagli scritti di Testori che fanno da guida a quelle gite. E nel dialogo silenzioso che nasce tra quel bambino e quel maestro, emergono domande che lo porteranno in futuro a percorrere a sua volta strade teatrali che lo porteranno “fuori via”. Il testo avvia il delicato svolgimento dei fili di una memoria intima e familiare e sullo sfondo dei ricordi infantili di una antica visita al Sacro Monte di Varallo Sesia, sviluppa un dialogo immaginario sull’oggi con Giovanni Testori, un sogno e un gioco teatrale carico di affetto ed ironia.