Domani debutto. Come sempre, nel caso di "Teatro dello spettatore", arrivo alla prima con alle spalle almeno una ventina di prove con il pubblico. Tutte le sere, a costruire il rito teatrale, con tre, sei, dieci persone. Una bella emozione. Molti, alla fine della prova, commossi. Molti che dicono che tornano, che hanno capito che "Report" davvero ogni sera sarà diverso, perchè vive del presente assoluto dell'incontro tra performer e le persone presenti quella sera. Qualcuno mi dice: voglio tornare a fare "l'esperienza". Rimango toccato da questa frase. Perchè nel "Teatro dello spettatore" il mio sogno è proprio quello, mi rendo conto, mentre la persona mi parla, che la tensione è proprio quella, di trasformare il tempo di visione dello spettacolo in tempo di esperienza.
Cambia lo sguardo all'interno dell'esperienza. La nostra visione delle cose si è formata attorno alla categoria di "distanza critica". Niente di male, per carità. Anzi, una forma dello sguardo che spesso aiuta l'intelligenza e il giudizio. Ma, nello stesso tempo, una limitazione per chi, come me, crede anche ad altri livelli dell'intelligenza e della comprensione. Lo sguardo, dentro l'esperienza, non è più sciocco o ingenuo. Ma è uno sguardo in cui chi guarda è parte del gioco, messo in gioco, interrogato sulle proprie emozioni e sentimenti, e decide di porli all'interno di due o tre ore condivise. Cade la distinzione assoluta tra chi osserva e chi viene ossevato, tra attore e spettatore, tra rito dello spettacolo e riti del pubblico. E' uno sguardo che si fonda su una pratica di dono reciproco, nel caso di "Report dalla città fragile" sono le parole dello spettatore il dono più prezioso. perchè dietro a quelle parole, scritte e poi lette da me in scena e punto di partenza per un mio ulteriore rilancio di storie, temi, emozioni, non ci stanno solamente pensieri intelligenti e dimostrazioni di cultura. C'è il racconto di storie personali, di momenti emotivamente forti, il contatto con la dimensione del limite, del margine, dell'estremo, che è presente nella vita di tutti, ma molto spesso è anche taciuta e soffocata.
Cambia anche il senso dell'andare a vedere arte. Che non è solo un momento, fondamentale e affascinante, in cui noi ci riempiamo di cose, di pensieri alti, di visioni, che poi ci porteremo nella vita come un tesoro prezioso. Questo è bellissimo, guai se non ci fosse. E' anche un momento, in questo caso, in cui la noistra presenza in quelle due ore, diventa un fatto artistico. Vita al quadrato. In cui si sperimentano relazioni, ascolti, azioni comuni tra gli spettatori e l'attore performer. Due ore di vita strana, altra, all'interno dello scandirsi quotidiano delle vite. Due ore di relazioni, di incontri, di una comunità provvisoria che si forma e sperimenta, un altro modo di essere, di trattarsi. Con grazia, con poesia, con affetto, con cuore.
Domani debutto, con dentro tutte queste emozioni. E la sensazione di esere arrivato a un punto importante e decisivo del mio perscorso artistico. Che in questi anni è diventato anche il percorso di molti spettatori, della meravigliosa equipe artistica con cui lavoro, di quella esperienza straordinaria di comunità rappresentata dall''Associazione Olinda, luogo di passione e di gentilezza, di presenze umani e radicali. Ad "Olinda", città impossibile, alla sua gente, a Rosita Volani che ha curato il progetto come e meglio di tutti noi, va il mio abbraccio