Le cose belle sfuggono, per loro stessa natura, alle definizioni, alle etichette, alle categorie e così può accadere che uno spettacolo teatrale disarmi e sorprenda per l’originalità della forma in cui si presenta, per il fatto di non essere meramente tale, uno spettacolo, ma molto di più, un Incontro. E così può accadere che un incontro – quello con Gigi Gherzi – ti lasci sulla pelle i segni del dubbio, della domanda, delle contraddizioni di questo nostro presente a tratti così confuso e complicato. E così può accadere che un incontro teatrale abbia ancora in sé la capacità di emozionare, fatto sempre più raro in questi tempi piuttosto ambigui, in cui lo stesso teatro pare avere perso i suoi connotati più originari e puri, essendosi anch’esso trasformato in mero contenitore troppo spesso privo di contenuti o in esercizio di stile noiosamente autoreferenziale e narcisistico. Lezione di classe si svolge realmente in una classe – in questo caso quella del Liceo Artistico Toschi di Parma – nella quale noi spettatori, che stiamo aspettando sul corridoio davanti all’aula, verremo accompagnati dallo stesso Gigi Gherzi, autore ed interprete, che da subito infrange le regole del distacco tra attore e pubblico, accogliendoci con un sorriso. E anche questo disarma, poiché non siamo più abituati alla gentilezza, alla dolcezza, alla bellezza di essere considerati con riguardo e con attenzione. Non siamo più abituati ad essere considerati spettatori pensanti, ma solo fruitori passivi e stupidi, destinati spesso a subire il vuoto di significati o, peggio ancora, la manipolazione e la violenza di chi usa il teatro – e l’Arte in generale – con finalità tutt’altro che nobili. Entriamo in classe e notiamo che sui banchi sono disposti dei fogli, raffiguranti belle immagini, realizzate da Teresa Ciulli, dotate di didascalie, tra cui mi colpiscono alcune come La scuola della bugia, Markiati, Il banco del somaro…Gigi ci invita ad osservarle come ci trovassimo all’interno di un museo, davanti ad opere d’arte e ci suggerisce di prendere posto in prossimità della figura e della scritta che sentiamo più nostre; io scelgo il volto di quello che sembra essere un bambino, accanto alla parola Esserci e così ognuno trova il proprio posto, non un posto a caso, in un’anonima platea. Ci guardiamo incuriositi, noi spettatori, e subito ci appare evidente che questo nostro ruolo ha subito un urto, una rottura, una modifica rispetto alla “norma” perché già intuiamo, noi spett-attori, che non potremo certo starcene comodamente e passivamente seduti su quelle sedie ma che saremo chiamati a con-dividere un Viaggio e a rispondere…a cosa, di preciso, ancora, non lo sappiamo ma ecco che subito giunge il momento dell’appello e i nostri nomi, letti dal maestro Gigi, acquistano un sapore strano, un’eco lontana che sopraggiunge carica di ricordi che credevamo cristallizzati nel tempo ma che finalmente possiamo vivificare. Siamo ritornati alunni. Rispondiamo a quell’appello, siamo presenti, tutti, presenti a quella storia, che ci verrà di lì a poco raccontata, presenti a Gigi, ma presenti, soprattutto, alla nostra storia, al nostro tempo, a noi stessi. L’Autore dichiara da subito, con chiarezza di intenti, che questo suo lavoro è dedicato ai somari e agli ultimi e cita, sorprendendoci, un insospettato somaro, Amleto, anche lui alle prese con il grande dilemma – cui ognuno di noi è stato, nei tempi scolastici, sottoposto – quello del che cosa fare da grande, del cosa diventare, nel suo caso addirittura un re, il dilemma, per tutti, del cosa essere o non essere… . Siamo diventati spett-autori. Entriamo immediatamente nel vivo di questo Incontro, sentiamo il peso e l’importanza di domande grandi e scomode, che spesso abbiamo allontanato, ma qui ed ora ci viene chiesto di ricordare, di scrivere, di ritornare …al nostro banco, alla nostra aula, alla nostra scuola, al nostro avere incontrato somari, al nostro essere stati somari, al nostro avere o non avere conosciuto veri Maestri…ripercorriamo la mappatura del nostro personale racconto – che è il racconto della nostra vita – siamo invitati a riscoprire il gusto delle parole, a capovolgere gli usuali paradigmi del nostro vedere e del nostro sentire che ci ingabbiano entro stereotipi castranti, a riflettere sul fatto che troppo spesso ragioniamo per categorie, dietro alle quali ci nascondiamo per fragilità, per inadeguatezza, per paura di valorizzare la nostra diversità e la nostra unicità. Siamo chiamati ad interrogarci sulla possibilità di invertire i ruoli, di essere allievi e maestri, come voleva la paideia greca, sempre simultaneamente gli uni agli altri, cosa che costa fatica. Siamo chiamati a ragionare sulle difficoltà dell’essere insegnante e nel contempo su quelle dell’essere alunno, sul disprezzo reciproco che spesso si insinua tra il primo ed il secondo generando un clima di guerra, controproducente per entrambi. Siamo chiamati ad essere sinceri con il nostro passato, con i nostri ricordi, con i nostri errori, rivendicandone il diritto di averli commessi, con la nostra Memoria, alla quale, come ci ricorda Gigi Gherzi, non dovremmo mai rinunciare, perché essa è in grado di creare connessioni non intellettualistiche bensì collegamenti dAnima. Siamo chiamati ad essere sinceri. E proprio sulla scia di queste associazioni d’anima l’Autore si commuove nel ricordare gli amati Caravaggio, Pasolini e Testori – intimamente legati l’uno all’altro – e anche noi ci commuoviamo con lui, perché ne percepiamo la sincerità, perché ci facciamo toccare dalla sua delicatezza e perché è bello condividere un’emozione, quando la senti vera. Siamo chiamati anche a chiudere gli occhi per ripetere ed imparare i versi di una poesia di Erri De Luca, Valore, e ci riusciamo, in pochi minuti, perché non è poi così complicato memorizzare parole associandole ad immagini, sensazioni, evocazioni…quell’apprendere creativo che di rado a scuola ti viene insegnato ma che il Teatro può e sa incarnare…chiudiamo gli occhi e parliamo, tutti insieme…considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora pococonsidero valore tutte le feriteconsidero valore provare gratitudine senza ricordare di chesiamo chiamati, infine, ad assaporare, fuor di retorica, alcune parole – ricordate con commozione dallo stesso Gigi – forse abusate, forse manipolate, forse dimenticate ma che qui, in questa classe, con questo Maestro/Allievo davvero speciale si riappropriano della loro forza, della loro problematicità, della loro Bellezza.Le parole sono:  Amore e Missione educativa.

Il teatro di Gigi Gherzi – autore, attore, drammaturgo milanese – si presenta in maniera sovversiva ed in controtendenza rispetto al panorama teatrale nazionale; è un teatro dello spettatore che invita chi vi partecipa ad assumere un ruolo attivo e ad interrogarsi su questioni etiche, sociali e culturali fondamentali. E’ un teatro politico nel senso più originario del termine, che ripristina l’antico e nobile valore di Teatro inteso come assemblea, come cittadinanza, come comunità, ma anche come rito, in cui il cittadino\spettatore ha la possibilità di vivere momenti di reale condivisione di problematiche di natura morale e civile; è un teatro delle emozioni perché basato su modalità drammaturgico-narrative tali per cui, dentro lo spettatore, nasca una personale verità, condivisa con l’Autore e con gli altri compagni di Viaggio. Nell’ambito del teatro dello spettatore rientra anche il bellissimo lavoro dal titolo Report dalla città fragile - liberamente tratto dal romanzo Atlante delle norme e dei salti di Gigi Gherzi, Olinda\Compagnia Teatro dell'Argine con lo stesso Gigi Gherzi, allestimento scenico e regia di Pietro Floridia – in scena presso ITC Teatro di San Lazzaro, San Lazzaro di Savena ( Bologna ) da mercoledì 7 a domenica 11 e da mercoledì 14 a domenica 18 dicembre 2011.

Consigliato a tutti coloro che provano ancora il desiderio ed il coraggio di emozionarsi.

Ilaria Andaloro